Parla Irene Manzi: “Nessun investimento dal governo, la scuola è solo ordine e sovranismo”

La responsabile Scuola del Pd
«Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin anche la destra sembrava preoccuparsi del tema, ma non è seguito alcun atto concreto», dice la responsabile Scuola del Pd. «La crisi educativa ha radici profonde, non si risolverà con battaglie ideologiche»

Irene Manzi, responsabile Scuola nella segreteria nazionale Pd e capogruppo in commissione Istruzione della Camera dei deputati: Martina Carbonaro è stata uccisa dal suo ex fidanzato. Nella contabilità dell’orrore si tratta di una delle vittime più giovani. Reprimere non basta. Perché oggi è così difficile parlare di prevenzione e di educazione all’affettività nelle scuole? Voglio esprimere tutta la nostra vicinanza alla famiglia di Martina che sta vivendo un dolore indicibile e sconvolgente che meriterebbe iniziative politiche concrete e coraggiose e non contrapposizioni ideologiche. Il giorno del funerale di Giulia Cecchettin, il padre Gino ha pronunciato un’orazione civile potente. La sua è stata una lezione universale ma anche il tentativo di lanciare una sfida collettiva contro una cultura che minimizza la violenza di genere e il maschilismo insito nella società. La sua orazione aveva rappresentato il culmine di un’ondata di dolore e sconcerto collettivo suscitati da quel femminicidio: il Paese si era unito, chiedendo di fermare questa spirale di ferocia e di combattere con maggiore forza contro la violenza di genere. Per qualche giorno anche la destra era sembrata (pre)occuparsi di un tema che alcuni suoi esponenti osteggiano con forza. Purtroppo, in questi mesi non sono seguiti atti concreti rispetto a quell’impegno a lavorare insieme per promuovere l’educazione all’affettività nelle scuole. Pur avendo sottoscritto un meritorio protocollo con la Fondazione Cecchettin, il ministro Valditara ha da poco adottato un’assurda misura che richiede il consenso preventivo delle famiglie per ogni attività scolastica che tocchi il tema della sessualità. Si alimentano teorie complottiste come quella sul gender, complicando la vita a chi prova a lavorare seriamente nelle scuole rispetto al grande tema della prevenzione. Eppure, non ci sono alternative: dobbiamo intervenire sulle ragioni della violenza e prosciugarne le fonti che sono culturali. Accogliamo positivamente l’apertura della Presidente del Consiglio, ma ora servono fatti.
Questo è un governo che sta riportando indietro le lancette del tempo nel tentativo di riaffermare un’idea di istruzione nostalgica ed autoritaria. Sia ben chiaro che tutti vogliamo che a scuola si insegni il rispetto: la funzione primaria dell’educazione è imparare a stare con gli altri nel rispetto reciproco. Ma Valditara utilizza il tema dell’ordine e della disciplina in modo strumentale. La crisi educativa, che esiste, ha delle radici più profonde e non si risolverà con battaglie ideologiche. La risposta non è il “ritorno al passato” né i nuovi reati o le continue sanzioni. Servono investimenti. A livello globale la destra nazionalpopulista ha un’attenzione ossessiva nei confronti del sistema di istruzione. Non verso gli investimenti ed il ruolo che dovrebbe avere ma verso la sua autonomia ed indipendenza, nelle scuole come nelle università minacciate da tagli di risorse e personale. Il Governo procede per provvedimenti spot (il Liceo del Made in Italy, la riforma del voto in condotta, le nuove indicazioni nazionali per il curricolo, solo per citarne alcuni, senza dimenticare l’autonomia differenziata) accompagnati dall’assenza di investimenti, dal dimensionamento scolastico, dal taglio di cattedre e docenti. Cosa ha fatto il ministro per ridurre il numero di alunni per classe? Per migliorare la qualità dei luoghi dove si insegna? Per qualificare la figura dei docenti a partire dalla loro formazione e retribuzione investendo realmente sulla loro autorevolezza? Il Partito Democratico – con il percorso nato con il lancio dei suoi Appunti democratici intorno alla scuola- ha avviato da alcuni mesi una riflessione ampia e diffusa in tante parti del Paese per costruire un’idea di scuola democratica ed inclusiva per tutti e per ciascuno. Quella scuola democratica che il ministro colpisce con la sua costante messa in discussione dell’autonomia: un’operazione dirigista con cui si immagina di istruire (non più formare) in senso sovranista una nuova generazione di giovani.
Proprio in tema di repressione come giudica il decreto sicurezza? È in gioco la democrazia? Questo governo in tre anni ha istituito 49 nuovi reati, 14 solo nell’ultimo decreto, senza ottenere nessun effettivo risultato. Propaganda utile a distrarre l’opinione pubblica dai suoi fallimenti. La sicurezza è un bene comune primario e centrale per la comunità. Per questo occorre capire le ragioni alla base delle paure dei cittadini, intervenendo sulle cause, non limitandosi a creare nuovi reati buoni per una conferenza stampa. Occorre investire sulla prevenzione sociale, intervenendo su disagio e marginalità. Le misure previste non fanno nulla di questo: carcere per chi protesta pacificamente, bambini costretti a nascere o entrare in cella con le madri, repressione per chi dissente. Il tutto senza investire risorse per rafforzare l’organico o migliorare le condizioni di lavoro delle forze dell’ordine, tagliando le risorse del PNRR per la riqualificazione delle periferie, cancellando investimenti in scuole e reti sociali. È un’operazione demagogica realizzata forzando gli strumenti democratici, trasformando il disegno di legge in discussione al Senato in un decreto-legge senza modificarlo di una virgola nel suo passaggio parlamentare, comprimendo le libertà individuali in nome dell’idea per cui chi vince le elezioni può tutto. Una logica che rischia di svuotare dall’interno istituzioni e principi costituzionali.
Intanto a Gaza si sta consumando una tragedia umanitaria senza precedenti… Parliamo di una tragedia sconvolgente, un orrore senza fine che chiama in causa la coscienza e l’umanità di ognuno di noi. Stiamo assistendo alla carneficina di una popolazione civile che paga una doppia violenza: quella di Hamas e quella del governo Netanyahu. Su una cosa voglio essere molto chiara: il 7 ottobre Hamas ha compiuto un massacro terroristico agghiacciante che abbiamo condannato senza se e senza ma, chiedendo il rilascio degli ostaggi e contrastando con forza l’affacciarsi di rigurgiti di antisemitismo. Hamas non è un interlocutore e non rappresenta il popolo palestinese. È un punto di partenza irrinunciabile. Ma questo non può impedire in alcun modo di condannare con forza l’azione criminale, sconcertante e disumana compiuta dall’attuale governo di Israele che sta violando il diritto internazionale e i diritti umani. Voglio ricordare le parole pronunciate da Liliana Segre che ha condannato con risolutezza le atrocità che sta compiendo a Gaza il governo israeliano.
Il governo italiano è sostanzialmente inerte rispetto all’azione di Netanyahu. Serve un’iniziativa diplomatica forte per il cessate il fuoco immediato, per portare gli aiuti umanitari nella striscia e per sostenere l’idea di due popoli due Stati, in linea con l’azione degli Stati europei e come ribadito dal Presidente Mattarella che ha dichiarato che i palestinesi hanno diritto al loro focolare e che occupare o affamare non sono misure di sicurezza. Abbiamo dovuto aspettare quattro settimane per avere il ministro degli Esteri in Parlamento per riferire. Per la storia diplomatica del nostro Paese e la sua credibilità e autorevolezza avremmo dovuto essere protagonisti, ma non è così. Il governo deve mettere in campo un’azione politico-diplomatica all’altezza del nostro ruolo internazionale. Il silenzio rispetto alle colpe di Netanyahu e dei suoi ministri rischia di trasformarsi in una condanna inaccettabile di tutto il popolo israeliano. Allo stesso tempo, continuiamo a fare i conti con un antisemitismo che non può avere alcuna giustificazione. Il peggior pericolo per le comunità ebraiche nel mondo oggi è proprio l’azione del governo Netanyahu.
Tra pochi giorni si voterà al referendum. Ci sono divisioni nel Pd? L’appuntamento dell’8 e 9 giugno è molto importante, come ogni occasione in cui i cittadini sono chiamati al voto. In un momento dove l’astensione e la disaffezione travolgono la politica, è fondamentale sostenere -a differenza della maggioranza di governo- la partecipazione. La Direzione nazionale del Pd ha espresso un’indicazione chiara, rispettando la posizione politica di chi sui referendum del lavoro la pensa in maniera diversa. Credo che sul tema della dignità del lavoro, a partire dal salario minimo, il Pd in tutti questi mesi, abbia fatto una campagna seria nel Paese e in Parlamento. I dati sull’occupazione in Italia raccontano una realtà ambivalente: cresce il numero degli occupati, ma gran parte di questa crescita si concentra in settori a bassa produttività e con salari bassi, per non dire poveri. Per invertire questa tendenza serve una strategia complessiva che modifichi anche ciò che può essere migliorato nella legislazione sul lavoro. I referendum possono essere un’opportunità per spingere il governo e il Parlamento in questa direzione. Il lavoro deve tornare al centro; non solo per creare occupazione, ma occupazione di qualità. Il lavoro come la cittadinanza, una battaglia di civiltà che riguarda tutte e tutti. Il 67% dei bambini con background migratorio nelle nostre scuole è nato in Italia. Il che dimostra quanto sia necessario riconoscere il loro diritto fondamentale ad essere riconosciuti cittadini italiani. La realtà è molto più forte dei pregiudizi.
Le ultime elezioni amministrative hanno visto un centrosinistra in salute Questa tornata elettorale amministrativa, assolutamente positiva, rappresenta un’indicazione chiara sulla strada da percorrere: individuare candidati seri e autorevoli, lavorare tenacemente all’unità della coalizione di centrosinistra e presentarsi con programmi chiari e alternativi alla destra. Dobbiamo continuare a lavorare in parlamento e nel Paese con spirito unitario e determinazione per costruire l’alternativa rispetto ad un governo che non ha dato una risposta concreta ai problemi reali dei cittadini: salari, potere d’acquisto, sanità, istruzione, trasporti.
l'Unità